Suggerimenti per predisporre i contratti con clienti/fornitori stranieri

Tutti sappiamo quanto possa essere pericoloso, quando si opera con l’estero, basarsi esclusivamente sulla propria capacità e iniziativa imprenditoriale e non tenere in debito conto, in particolare quando dobbiamo procedere alla stipula del contratto, le regole giuridiche, spesso straniere che potrebbero in concreto trovare applicazione e disciplinare il contratto stesso. Possiamo definire il contratto internazionale come l’accordo tra due o più parti appartenenti a diversi Paesi, cioè di nazionalità diversa, attraverso il quale sorge un rapporto giuridico tra soggetti che quindi appartengono a differenti sistemi legislativi e magari anche a diverse “aree” giuridiche (di civil law o di common law). Allo stesso modo, avrà il connotato dell’internazionalità anche un accordo tra due soggetti appartenenti allo stesso Stato, ma che produce i suoi effetti anche (o solo) in un Paese straniero, come ad esempio potrebbe accadere nel caso dei contratti di distribuzione.

1.
E’ utile precisare che, se non in casi eccezionali, non esistono norme “sovranazionali” e uniformi applicabili ai rapporti commerciali tra imprese di Paesi diversi. Ne deriva che si farà sempre e comunque riferimento prima di tutto alle norme appartenenti agli ordinamenti delle parti contrattuali (che, per forza di cose, saranno almeno due). Pertanto, occorrerà operare innanzitutto una scelta riguardo alla legge applicabile al contratto, ossia quell’insieme di regole che disciplineranno i rapporti tra le parti. La scelta, come abbiamo detto, in prima battuta, sarà tra la normativa del Paese dell’uno o dell’altro contraente, ma l’applicazione di una legge piuttosto che dell’altra potrebbe incidere sensibilmente sui contenuti del contratto e quindi sulle rispettive posizioni delle parti. Ad esempio, se si trattasse di regolamentare un rapporto di agenzia, l’applicazione della legge francese, riguardo alle indennità di fine rapporto, potrebbe essere più favorevole per l’agente rispetto alla legge italiana. Per questo motivo, prima di accingersi alla stipula di un contratto internazionale, sarà fondamentale avere un’idea precisa delle differenze sostanziali tra le due normative prese in considerazione nello specifico caso.

2.
Va anche detto che, in assenza di una scelta operata dalle parti, esistono convenzioni sia a livello comunitario, che extra Unione europea. Si pensi ad es. alla Convenzione di Vienna dell’11 Aprile 1980 sulla vendita internazionale o la Convenzione di Roma del 19 Giugno1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, successivamente sostituita dal Regolamento Comunitario n. 593/2008, cosiddetto “Regolamento Roma I”. I criteri di applicazione internazionale però non sono mai di semplicissima interpretazione. Ad es. il Regolamento appena ricordato prevede che il contratto tra parti non appartenenti allo stesso Stato venga regolato dalla legge di quello tra i due che presenti il “collegamento più stretto”, ossia quella del Paese in cui ha sede la parte che fornirà la prestazione “caratteristica” tra le due. Tale prestazione “caratteristica” deve essere individuata sulla base della “funzione sociale ed economica” del contratto; pertanto, posto che nell'economia moderna una prestazione monetaria è sempre presente e quindi non può considerarsi caratteristica, la prestazione con questi connotati normalmente coincide con quella di natura non monetaria (in un contratto d’appalto, ad esempio, la prestazione caratteristica sarà quella dell’appaltatore e non quella del committente; di conseguenza, la legge applicabile al contratto sarà quella del Paese del primo). In via residuale e sussidiaria, comunque ogni paese ha delle norme ccdd.”di conflitto” allo scopo appunto di stabilire, nel caso concreto, quale legge, nazionale o straniera, dovrà disciplinare il rapporto in esame. Sono le norme di diritto internazionale privato (D.i.p.), con la precisazione che, qualora dovesse insorgere una controversia, il giudice che verrà chiamato a deciderla applicherà le norme di D.i.p. del proprio ordinamento, dato che dette norme sono appunto nazionali, cioè interne. Alla luce quanto abbiamo appena illustrato, sarà quindi più che mai opportuno che le parti si accordino sulla legge applicabile ancor prima della stipula e di conseguenza la esprimano in un’apposita clausola inserita nel contratto che regolamenterà il loro rapporto. In questo modo, il contratto sarà interamente regolato da quella specifica legge, a maggior ragione in caso di futura controversia giudiziale.

3.
Spesso gli imprenditori confondono “legge applicabile” e “Foro competente”, che invece sono nozioni diverse e distinte tra loro. La legge applicabile, come abbiamo visto, riguarda le norme a cui soggiace il contratto (ad es. legge italiana o francese), mentre il Foro compente individua il Giudice chiamato ad applicare la legge prescelta in caso di controversia (ad es. Giudice italiano o francese). Pertanto, non è vero che, scegliendo il Foro di un Paese ne derivi automaticamente l’applicazione del diritto di quel Paese. Naturalmente, quanto alla legge da preferire, occorrerà fare una valutazione accurata in termini di opportunità, tener conto della propria “forza contrattuale” per “spuntarla” sulla controparte (cosa non sempre scontata) e avere a mente quali potrebbero essere le alterative:

  • legge italiana;
  • legge del Paese della controparte;
  • legge di un Paese terzo rispetto alle parti;
  • la cosiddetta “Lex mercatoria”, cioè ai principi generali e agli usi del commercio internazionale, i quali, peraltro, normalmente, vengono inseriti, quali criteri utili, solo nelle clausole arbitrali.

Va subito detto che optare per la legge italiana potrebbe non essere la scelta migliore, dato che quella straniera potrebbe essere più favorevole all’imprenditore italiano. Di qui l’opportunità di una preventiva analisi delle norme potenzialmente applicabili per operare poi la scelta più vantaggiosa.

4.
Se di grande importanza è la scelta della legge, non da meno è quella relativa allo strumento con cui andranno risolte eventuali controversie: il giudizio ordinario oppure l’arbitrato internazionale. Al riguardo, quindi, occorrerà prevedere e inserire nel contratto un’apposita clausola. Prima di decidere tra uno e l’altro strumento, sarà opportuno svolgere un’attenta analisi sulla possibilità di eseguire o meno un certo provvedimento nel Paese della controparte. Infatti, non sempre una sentenza potrà essere eseguita in uno Stato diverso da quello del Giudice che l’ha emessa. E’ bene dunque verificare preliminarmente se tra gli Stati dei due contraenti sia stato firmato un trattato in base al quale gli stessi abbiano stabilito il reciproco riconoscimento delle sentenze. L’Italia ad esempio ha sottoscritto trattati di questo genere con Paesi quali la Svizzera e il Brasile, ma non con gli Stati Uniti. In ambito comunitario, invece, vengono in soccorso le Convenzioni ed i Regolamenti, applicabili in tutti i Paesi dell’Unione, salvo rare eccezioni. L’arbitrato, invece, tendenzialmente risulta essere più adatto per le controversie di una certa rilevanza, che potrebbero pertanto giustificare i maggiori costi di questo strumento rispetto al giudizio ordinario. Questa diversa modalità di risoluzione delle controversie offre sicuramente maggior certezza che le proprie pretese siano soddisfatte e con tempi ragionevolmente brevi. Inoltre, con alcuni Paesi, ad esempio con gli Stati Uniti, la via dell’arbitrato risulta essere addirittura l’unica percorribile, in quanto solo il lodo arbitrale può essere eseguito nei confronti della controparte statunitense. In alcune aree, invece, come ad esempio in molti Paesi del Medio Oriente, non c’è possibilità di derogare alla legge o alla competenza dei Giudici locali, poiché di solito i provvedimenti pronunciati da Tribunali esteri non sono riconosciuti.

5.
La lingua è un altro elemento da non sottovalutare, perché può dare adito a interpretazioni difformi tra le parti, difficilmente gestibili durante un contenzioso. Dunque è opportuno individuare sin da subito un’unica lingua ufficiale, che prevalga in ogni caso su un’eventuale seconda lingua, in maniera tale da evitare il più possibile errori interpretativi o eventuali strumentalizzazioni della controparte in questo ambito.

6.
Una volta effettuate le importanti scelte riguardo alla legge che regolerà il rapporto e al Foro competente, sarà necessario individuare il contesto economico e giuridico in cui verrà eseguito il contratto che si vuole concludere, tenendo conto sin da subito delle questioni più importanti su cui potrà vertere la trattativa, le condizioni che potranno essere accettate e quelle che invece dovranno essere rifiutate o comunque negoziate per fornire la soluzione più vantaggiosa. Andrà poi individuato l’obbiettivo attraverso disposizioni chiare, precise e prive di ambiguità. Il contratto dovrà essere anche completo e con un taglio molto pratico, posto che regolerà gli aspetti essenziali del business che le parti intendono realizzare. Oltre ai predetti aspetti, il contratto dovrà disciplinarne altri, essenziali, che possono essere cosi sinteticamente individuati: le premesse, i dati delle parti, l’entrata in vigore dell’accordo, la descrizione delle prestazioni di ciascuna parte, l’individuazione dei possibili casi di inadempimento, le clausole limitative o che esonerano la responsabilità, force majeure e hardship[1], i rimedi a disposizione della parte adempiente, liquidated damages, performance bonds[2], oltre agli strumenti di risoluzione delle controversie, arbitrato o giudizio ordinario, e naturalmente il corrispettivo; in ultimo, gli eventuali allegati. Alla luce della complessità dei rapporti che coinvolgono le parti in particolare nei contratti internazionali, va da sé che sia fondamentale l’intervento di un avvocato, che conosca a fondo il business dei contraenti e che quindi possa andare a colmare e/o ad integrare di volta in volta le lacune del testo contrattuale che in ipotesi vi venisse sottoposto da un fornitore o da un cliente straniero.

Questo articolo è redatto con la collaborazione con lo Studio Paleari, studio legale di Milano, che opera principalmente nel settore del diritto commerciale, fallimentare e societario, assistendo le aziende in tutti gli aspetti della vita dell’impresa, dalla formazione allo sviluppo e alla gestione, anche in ambito internazionale. DDm si avvale della competenza del titolare dello Studio, Avvocato Luca Paleari, coadiuvato dall’Avvocato Stefania Viola. Con loro, ogni 15 giorni, tratteremo argomenti di interesse per questo mercato sia seguendo un piano editoriale, sia su argomenti proposti dai nostri lettori, che rivestano interessi comuni. Per questa iniziativa i lettori di DDm potranno sottoporre le loro proposte a studio.legale@4itgroup.it

 


[1] Sono concetti sviluppatisi nella prassi del commercio internazionale e pertanto, pur avendo alcuni elementi in comune con i nostri concetti, rispettivamente, di “caso fortuito” e di “eccessiva onerosità sopravvenuta”, non sono assimilabili in toto a questi ultimi. La clausola di force majeure contempla un’esclusione della responsabilità (liability) del contraente interessato da eventi che si sottraggono alla sua volontà (will) e al suo controllo (control) e che sono tali da rendere impossibile l’adempimento degli obblighi contrattuali. Tali eventi sono generalmente definiti “acts of God”, e comprendono una serie di fatti riconducibili a cause naturali quali inondazioni, terremoti, incendi, esplosioni, ma anche guerre, sommosse, scioperi, difficoltà nell’approvvigionamento di personale o di materie prime (shortages of labour or raw materials). L’evidente conseguenza è che la clausola di force majeure può divenire piuttosto ampia e va pertanto negoziata con grande attenzione, nonostante si tratti di una clausola “boilerplate”, vale a dire sempre presente nei modelli di condizioni generali di contratto.

 

[2] I tipi di garanzie più diffusi sono i performance bonds, che hanno il fine di garantire il committente ad esempio della buona esecuzione di quanto dedotto in contratto, ed  i liquidated damages che sono clausole penali in base alle quali è possibile ottenere il risarcimento del danno così come è stato quantificato in anticipo dalle parti, fatta comunque salva la possibilità di richiedere, con un giudizio ordinario, il risarcimento del maggior danno;  Le garanzie sono quasi sempre on demand,  cioè a prima richiesta.