Font, non tutti sono egualmente print-friendly

Quante differenti tipologie di font esistono al mondo? Migliaia, probabilmente. Ci sono quelli che affondano le proprie origini nella Storia e altri che sono nati letteralmente ieri. Alcuni vengono usati con costanza, altri sono creati ad hoc per un certo progetto. Quando si deve decidere quale utilizzare si guardano molti aspetti – impatto, facilità di lettura, amalgama con l’eventuale grafica per citarne alcuni. Difficilmente però ci si sofferma a pensare quale impatto abbia questa scelta sul processo di stampa. Perché un impatto c’è, eccome.

Per capire meglio, partiamo da una buona prassi da grafici, per qualcuno addirittura la prima regola: mai usare il Comic Sans. Ovvero questo font:

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Perché questa regola apparentemente assurda? A rispondere è un’infografica targata Pixartprinting, che mette in luce come, a perfetta parità di parametri – font in corpo 12 proveniente da ambiente Windows – un documento in Comic Sans ha una percentuale di copertura di inchiostro della pagina del 5,74% mentre lo stesso testo in Helvetica a 5.45%, in Calibri si ferma a 5,29% e in Garamond a solo 4.47%. Sembra una differenza da poco – solo 0,19% di differenza con l'Helvetica – ma è evidente che più crescono i volumi più si fa sentire.

La domanda che si pone l’infografica – cosa succederebbe se tutti passassero dall’Helvetica al Comic Sans – ha una risposta che mette benissimo in evidenza questo aspetto: ogni anno il cambio costerebbe quasi 4 milioni di cartucce in più, per un quantitativo di inchiostro complessivo che, in un paragone un po’ macabro, corrisponde al quantitativo di sangue di oltre cinquemila tipografi. O, più tranquillamente, all'inchiostro necessario a stampare un milione e mezzo di copie del primo libro della saga di Game of Thrones.

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