La lunga estate calda dell’editoria (e di Amazon)

Se l’estate atmosferica soprattutto in Italia non è risultata particolarmente calda, lo stesso non si può dire di come il mondo dell’editoria ha vissuto questi ultimi mesi. Non è una novità che da diversi anni sia in corso una vera e propria guerra fra i grandi editori e Amazon, ad un tempo principale canale di vendita e concorrente numero uno.
Il colosso guidato da Jeff Bezos ha da sempre portato avanti una politica di prezzi bassi e per questo si è spesso scontrato con i marchi, grandi o piccoli che siano, che sfruttano la piattaforma come canale di vendita. E’ il marchio di fabbrica di Amazon e un tale comportamento è figlio del fatto che le regole del gioco le detta la stessa Amazon.

Da diverso tempo è in corso una battaglia di prezzi fra la società con base a Seattle e la francese Hachette, uno dei cosiddetti Big Six, i sei editori più potenti del mondo. Al centro della disputa il prezzo degli e-book, sui quali Amazon vuole offrire uno sconto ben più consistente di quello che Hachette è disposta a concedere. Per la casa francese gli e-book rappresentano una consistente fonte di profitto, calcolata in oltre un terzo del totale, e non stupisce pertanto che la questione sia stata definita “essenziale” dal Wall Street Journal.

Con una mossa improvvisa, a maggio Amazon ha cominciato a segnalare tempi di consegna insolitamente lunghi, a non avere disponibili determinati formati, a vendere titoli a prezzi molto elevati. In altri casi le vendite o le pre-vendite sono state del tutto interrotte. Inutile sottolineare che tutti i titoli interessati erano editi da Hachette e che la cosa è stata rapidamente riportata da tutti i media, sollevando una miriade di polemiche alle quali Amazon ha scelto di non rispondere e di proseguire nella sua strategia di pressione.

Quel che forse Jeff Bezos non aveva calcolato è che la contesa si sarebbe allargata fino a raggiungere dei livelli decisamente pericolosi.

Douglas Preston è uno scrittore americano autore di svariati best-seller (alcuni in collaborazione con Lee Child) e collaboratore abituale di diverse riviste. La decisione di Amazon, che ovviamente ha portato a un calo delle vendite dei titoli interessati, lo ha colpito direttamente, essendo Douglas edito da Hachette. E ha deciso di reagire personalmente, invitando i colleghi a firmare un manifesto che renda noto a tutti il punto di vista degli autori, non della casa editrice né del rivenditore. Perché il boicottaggio che Amazon sta portando avanti non sta danneggiando solo Hachette, ma tutti i suoi autori e, di riflesso, i lettori. L’iniziativa, denominata Authors United, ha ottenuto un appoggio ben al di sopra di quello che lo stesso Douglas si aspettava: oltre 900 autori hanno aderito, apponendo la loro firma in calce al manifesto (il tutto è leggibile nell’apposito sito). Fra questi spiccano veri e propri giganti quali Paul Auster, Stephen King, Scott Turow, James Patterson, Lee Child e molti altri, tanti non editi da Hachette. Il manifesto, dopo aver spiegato le motivazioni degli autori, invita i lettori a rivolgere le proprie lamentele direttamente a Jeff Bezos, chiedendogli di far cessare questo scontro così dannoso. L’8 agosto scorso l’iniziativa è approdata sul New York Times con una pagina comprata dagli stessi autori, accrescendo ulteriormente l’interesse. E la risposta imbastita da Amazon è stata pesantemente deleteria. Il progetto Readers United (questa volta la persona a cui scrivere era l’ad di Hachette) non ha sortito particolari risultati, ma è stata la scelta di George Orwell come testimonial quella che ha rappresentato un errore per Bezos e Amazon. Se infatti prendere l’autore di un romanzo come 1984 – dove la distruzione dei libri è sinonimo di tirannide e perdita di libertà – non è la miglior scelta possibile, bisognerebbe almeno assicurarsi di prenderlo sotto il lato migliore per la tua causa. Non è esattamente quella che la società di Seattle ha fatto.

Amazon ha rilasciato una nota in cui accusava editori e autori di essere contro il futuro oggi come lo furono negli anni Trenta quando vennero lanciati i paperback. E lo ha fatto, come detto, con una citazione di Orwell: “The famous author George Orwell came out publicly and said about the new paperback format, if ‘publishers had any sense, they would combine against them and suppress them.

Peccato che Orwell all’epoca (nel 1936) avesse detto parole decisamente differenti: “The Penguin Books are splendid value for sixpence, so splendid that if the other publishers had any sense they would combine against them and suppress them”.

Le parole di Orwell, infatti, non erano una condanna del formato paperback appena lanciato dalla Penguin Books, anzi: lo scrittore affermava che erano un’ottima idea, al punto che gli altri editori avrebbero dovuto coalizzarsi per sopprimerli dato che erano un concorrente pericoloso.

Al danno di credibilità provocato da questo errore si è aggiunta anche la beffa: la citazione proseguiva infatti così: “It is of course a great mistake to imagine that cheap books are good for the book trade. Actually it is just the other way about … The cheaper books become, the less money is spent on books”.

Più economici diventano i libri, meno si spende per essi. Una frase che è un clamoroso autogol per Amazon e che, ovviamente, non è passata inosservata.

E intanto il fronte anti-Amazon si sta allargando con preoccupante velocità: la Repubblica Francese è ufficialmente scesa in campo a fianco di Hachette, trasformando la difesa dei diritti della casa editrice in un affare di stato; e il mercato tedesco è a sua volta in piena rivolta: oltre mille autori fra Germania, Austria e Svizzera hanno firmato un’iniziativa analoga a Authors United, aprendo un secondo fronte estremamente pericoloso – il mercato tedesco è il più importante dopo quello americano per Amazon. Il braccio di ferro continua, senza che nessuno dei contendenti accenni a cedere. Però è innegabile che sia l’editore quello che sta guadagnando maggior supporto e consensi, mentre Amazon si sta sempre più ritagliando la parte del malvagio tiranno.

L’impressione che questa volta Amazon abbia veramente fatto il passo più lungo della gamba è accresciuta dal fatto che, invece di cercare per una volta di venire a patti cedendo qualche centimetro, il colosso di Seattle ha avviato un altro scontro della medesima natura – blocco delle prevendite – con un’altra società. La forza di Amazon è fuori discussione e forse anche un grande editore come Hachette alla fine può essere costretto a soccombere. Ma andare in guerra contro la Walt Disney potrebbe decisamente non essere la miglior scelta. Perché se impedire le prevendite di film come Maleficent o Captain America 2 può rappresentare un danno per Disney, è molto probabile che rappresenti un danno maggiore per la stessa Amazon – se voglio acquistare l’ultimo film di Capitan America e Amazon non me lo dà non è che sto ad attendere, vado da un’altra parte. Disney vende comunque il suo dvd, ma i soldi non li incassa Amazon. Oltre un certo limite l’orgoglio non è più una cosa pratica e un distributore come Amazon dovrebbe essere il primo a intuirlo.

di Federico Zecchini